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Immagine del redattorePaolo Benanti

What if... quale lavoro nel 2030?


In questa settimana di pausa estiva proviamo a fare una riflessione secondo un genere insolito: una narrazione futuribile sulla Gig Economy. Il racconto che proponiamo, frutto di pura fantasia e ispirato a un recente articolo di The Economist, vuole aiutare a costruire uno scenario su cui poter riflettere. Insomma "un sogno di una notte di mezza estate" per stimolare una riflessione e un dibattito pubblico.

 

Una premessa...

Perché uno scenario? In un seminario del 2006 a Ginevra, i membri fondatori del progetto Bridging the Gap hanno presentato uno scenario che postulava una crisi finanziaria originata negli Stati Uniti che avrebbe provocato una recessione globale con conseguenze economiche dolorose per l'Europa. Molti partecipanti al seminario - studiosi e responsabili delle politiche - erano increduli: «È semplicemente impossibile» ... «Non potrebbe mai accadere» ... «È una perdita di tempo parlarne» ...

Questa storia suggerisce sia la sfida che il valore dell'analisi dello scenario. Gli scenari vengono spesso scambiati per:

  • previsioni,

  • profezie

  • simulazioni.

Non sono nessuno di questi. Invece, gli scenari illustrano possibili stati futuri del mondo combinando teoria e narrazione in modi rigorosi e risonanti per facilitare il pensiero creativo.

Se questo è il contesto che giustifica la creazione dello scenario, allora non rimane che passare alla narrazione (tutti i nomi sono inventati tranne quelli connessi ad un link di riferimento).

Una mattina del 2030... Tutto cominciò con una email. Il messaggio di posta elettronica arrivò nella inbox di Mario Rossi alle 17:00 di giovedì 31 ottobre 2030 esattamente prima del weekend lungo grazie al ponte del 1 novembre. L'oggetto del messaggio suonava leggermente inquietante: "Modifiche". Mario Rossi, direttore della filiale di Milano della Innovation Investment Management - IIM -, una società di private equity con sede principale a New York, la guardò con trepidazione.

Il private equity è un'operazione finanziaria che consiste nell'acquisizione temporanea di quote di partecipazione al capitale di società, generalmente non quotate, da parte di un intermediario specializzato, finalizzata alla dismissione in un arco temporale medio/lungo al fine di realizzare un guadagno in conto capitale. Gli investimenti di private equity sono anche definiti come investimenti istituzionali in capitale di rischio, per differenziarli dall'acquisizione di quote di capitale effettuata da imprese o soggetti privati, e vengono classificati come apporti di risorse da parte di intermediari specializzati, sotto forma di partecipazione al capitale azionario o sottoscrizione di prestiti obbligazionari convertibili. Insomma un business che richiede grande intuito, una dose di rischio e grandi procacciatori d'affari.

Aperta la mail, Mario Rossi iniziò a leggere:

Caro team, probabilmente avete sentito voci sul fatto che stiamo rivoluzionando il modo in cui lavoriamo all'Innovation Investment Management. Passeremo da lunedì a un nuovo modello.

Tutti i lavori al di sotto del livello C-suite* devono essere riclassificati. Tutti voi che ricevete questa mail siete toccati da questa riqualificazione. Da lunedì non sarete più dipendenti di IIM. Invece lavorerete per IIM su base contrattuale. Questo cambiamento sembra più spaventoso di quanto sia in realtà. Permetterà grandi benefici tanto per voi che per IIM.

La società sarà in grado di rispondere più agilmente a un mercato in rapida evoluzione. Come dirigenza speriamo che continuerete a lavorare con noi eseguendo servizi per IIM su base contrattuale. Il modello che vi proponiamo vi permetterà di avere anche l'opportunità di lavorare e guadagnare altrove. Se avete domande, chiedete a Emma, il nostro chatbot delle risorse umane.

*Una piccola nota: C-Suite, o C-Level, è un termine gergale ampiamente utilizzato nel business per riferirsi collettivamente ai più importanti dirigenti di una società. C-Suite prende il nome dai titoli dei migliori dirigenti senior che tendono ad iniziare con la lettera C, come in chief executive officer (CEO), chief financial officer (CFO), chief operating officer (COO) e chief information officer (CIO)

Al rientro dal ponte lungo e dopo le prime settimane di lavoro, Mario Rossi non notò molta differenza nel suo rapporto con IIM. Stava già lavorando a un accordo e, nel portarlo a termine, si era spostato dalla sua posizione a tempo indeterminato a un contratto a tempo determinato. La prima cose di cui si accorse è che la sua tariffa oraria era aumentata del 20%, ma di contro doveva provvedere da solo alla sua pensione e all'assicurazione sanitaria integrativa - un benefit ormai indispensabile.

Nelle settimane seguenti Mario Rossi sperava di essere coinvolto in un altro investimento. Con grande sorpresa scoprì che qualcuno con un PhD in Ingegneria gestionale ottenuto ad Harvard aveva ottenuto il contratto per quel gig, e non lui. Di fronte alla sua richiesta di chiarimenti al suo capo aveva ricevuto questa risposta: "Nulla di personale; il candidato scelto aveva il perfetto skills-set per portare con successo a termine questo accordo ".

L'esperienza di Mario Rossi è divenuta ormai tipica nel mondo del lavoro contemporaneo. Tutto ebbe inizio durante il 2020: le aziende di tutto il mondo hanno iniziato a fare affidamento più che mai sui lavoratori in outsourcing che venivano assegnati temporaneamente tramite piattaforme digitali. La più famosa era CareMeNow, una piattaforma nota come "l'Uber dell'assistenza sociale", che ha organizzato il 90% delle visite domiciliari agli anziani in America. Oramai tutti i lavoratori, dai meccanici per la riparazione dei taxi a guida autonoma, agli assistenti di vendita al dettaglio, fino agli assistenti di volo hanno posti di lavoro assegnati su base giornaliera o settimanale attraverso relazioni online che fanno il matching tra le imprese e i lavoratori divenuti contractors.

Nandy's, una delle più note società di fast food, ha preso la cosa in maniera radicale. Ha, infatti, esternalizzando il 100% dei suoi lavori di ristorazione. Personale di servizio, i cuochi e gli addetti alle pulizie di Nandy's non sono più dipendenti dell'azienda o dei suoi ristoranti in franchisees, ma offrono prestazioni alla cassa su base oraria tramite RunnerMaze, una piattaforma di lavoro online. "La prima azienda tra quelle di Fortune 500 senza impiegati", ha dichiarato Fortune , un noto servizio di report economici, nel profilo dell'azienda che ha pubblicato nel 2029.

Questo modello che ha trasformato i lavoratori in tasker e i professionisti in giger è in netto contrasto con il modo in cui il lavoro è stato organizzato nella seconda metà del XX secolo. Al tempo le imprese erano entità abbastanza indipendenti. La maggior parte delle funzioni erano svolte internamente da dipendenti a tempo pieno e con contratti a tempo indeterminato. Molte persone, nella loro carriera professionale, hanno lavorato solo per una o due società. Questo accordo aveva una sua logica commerciale.

Come sosteneva Ronald Coase, un economista negli anni '30, di solito era più economico per un'impresa avere qualcuno sempre a disposizione, e dirigerlo a comando, che negoziare e far rispettare contratti separati per ogni tipo di lavoro in un mercato aperto.

Negli anni '80, tuttavia, il modello di Coasean iniziò a essere sfidato da un nuovo modo di lavorare. Mentre gli azionisti incoraggiavano le aziende a concentrarsi sulle proprie competenze chiave, invitavano le imprese ad esternalizzre determinati ruoli - ad esempio le pulizie, la contabilità, il branding - a fornitori specializzati. Durante gli anni '90 la febbre dell'esternazionalizzazione ha investito il mondo degli affari. Charles Handy, un guru della gestione d'impresa, ha parlato della "organizzazione a trifoglio", che ha definito "un nucleo di dirigenti e lavoratori essenziali supportati da contractors esterni e da aiuti part-time".

Per anni, tuttavia, i trifogli hanno faticato a fiorire. L'outsourcing era in competizione con i limiti tecnologici. Le imprese non potevano sapere con certezza se sarebbero state in grado di trovare il giusto tipo di manodopera in un mercato aperto con la rapidità necessaria. Le aziende sono state quindi costrette a mantenere molti dipendenti che non erano davvero figure chiave per il loro business. Questo, di contro, piaceva a molti lavoratori, che preferivano la stabilità del lavoro a tempo indeterminato all'alternativa di saltare tra contratti a breve termine, che trovavano difficile da gestire.

Tutto è cambiato intorno al 2010, con l'aumento delle piattaforme della gig-economy come, ad esempio, TaskRabbit, PeoplePerHour e Expert360, in grado di abbinare rapidamente e perfettamente i lavoratori con i datori di lavoro. Le valutazioni fornite da precedenti clienti hanno fornito un modo per valutare la qualità dei lavoratori. Ciò ha permesso di esternalizzare ulteriori blocchi di attività delle imprese. L'economia dei lavoretti, questo infatti significa il termine inglese gig, iniziò in piccolo, ma nel giro di un decennio era cresciuta rapidamente; il suo prototipo era Uber, un servizio di auto con conducente alternativo ai taxi.

Nel 2018 circa l'1% dei lavoratori un account su almeno una piattaforma di lavoro; nel 2028 tale cifra era salita al 30%. Oggi sempre più aziende stanno iniziando a somigliare a IIM.

Due fattori spiegano questo boom. Il primo è le modifiche alle leggi che regolano il mercato del lavoro. Per anni la gig economy ha lottato contro ripetute sfide legali. In molti casi, i tribunali hanno scoperto che i lavoratori della gig-economy venivano classificati come lavoratori autonomi quando erano realmente degli impiegati. Questo significava che ai lavoratori venivano negate cose come il salario minimo e le indennità di malattia.

Nel 2020 GimmeAChef, una piattaforma che collegava i cuochi con i ristoranti, perse una causa in tribunale: un lavoratore che aveva lavorato per un cliente per un anno intero. GimmeAChef ha dovuto pagare milioni di euro in contributi arretrati e altri benefici sociali ai suoi cuochi. In seguito FlyMeCab, un servizio tipo Uber, ha perso causa dopo causa nei vari tribunali del lavoro di tutto il mondo, costringendola a smettere di classificare i suoi lavoratori come appaltatori indipendenti in alcuni paesi.

In mezzo a tali battute d'arresto, le società della gig-economy hanno sostenuto che i governi avrebbero dovuto essere dalla loro parte, sottolineando che il lavoro di gruppo sarebbe stata una risorsa importante nel mercato del lavoro per diminuire il numero dei disoccupati, e che quindi avrebbe dovuto essere incoraggiato e non bandito.

In USA le piattaforme facevano pressioni enormi e grandi azioni di lobbying per la creazione di una nuova categoria di occupazione, a metà strada tra il lavoro autonomo e il lavoro dipendente. L'esito di queste azioni politiche fu la creazione di una nuova modalità di lavoro definita come status di "imprenditore dipendente". Questa terza categoria avrebbe dato ai lavoratori la flessibilità del lavoro autonomo ma con il diritto ad alcuni diritti dei lavoratori dipendente come la retribuzione per malattia.

Il presidente, consultato il suo staff della Casa Bianca, accolse questa richiesta. Nel 2020 ha introdotto un pacchetto di riforme del mercato del lavoro che prevedeva l'introduzione dello status di “dependent contractor” o appaltatore dipendente. Il pacchetto era sostenuto dai repubblicani perché fu visto come un modo per liberare le aziende dalla burocrazia e da alcuni democratici perché capito come un modo per garantire alcuni diritti basilari per i lavoratori delle gig-economy.

Il giorno in cui fu annunciata la riforma, i prezzi delle azioni delle grandi piattaforme di lavoro online balzarono a vette senza precedenti. Altri paesi presto seguirono l'esempio degli USA. I paesi ad alto tasso di disoccupazione in Europa, come l'Italia, la Spagna e le economie dell'ex blocco comunista, hanno visto la deregolamentazione del mercato del lavoro come un modo per aumentare l'occupazione e il reddito. Altri paesi speravano che questa deregulation avrebbe attratto investimenti stranieri.

Il secondo grande driver dietro il boom della gig-economy è stato la tecnologia. I progressi nell'intelligenza artificiale (AI) hanno permesso di sviluppare piattaforme altamente efficaci. Con l'infusione ubiqua delle AI era diventato semplicissimo trovare il lavoratore giusto per un compito specifico e ottenere risultati qualitativamente altissimi.

Le AI sono diventate in grado di andare oltre i sistemi di classificazione grezzi e utilizzare una gamma di segnali per determinare se un candidato sia o meno una buona scelta. Dal 2026 WorkBook, un social network professionale che prese il posto di LinkedIn, ha offerto la garanzia di poter trovare un lavoratore adatto per qualsiasi attività entro sei ore e, grazie a un accordo con i servizio tipo Uber, di garantire che la forza lavoro sia sul posto entro un giorno lavorativo.

Tutto ciò ha dato all'outsourcing una nuova prospettiva di vita. L'ultima ondata di funzioni a contratto ha incluso il lavoro amministrativo, il marketing e la formazione. E alcune aziende, come IIM, stanno andando oltre, licenziando i dipendenti che svolgono le operazioni principali e riassumendoli come appaltatori - contractor - a breve termine per svolgere compiti specifici.

È vero che l'outsourcing non è sempre andato bene. Nel dicembre del 2028, un tentativo da parte di un gruppo di ospedali americani di usare i medici su richiesta portò a una carenza di personale durante il periodo natalizio, quando molti decisero di non lavorare anche se il "prezzo di offerta" aveva aumentato notevolmente la loro tariffa oraria. Alcune aziende riferiscono che il morale tra i lavoratori a contratto è basso, perché non si sentono parte di una squadra. Altri temono che si perdano le "tacite conoscenze" che i dipendenti acquisiscono lavorando in un'azienda a tempo pieno - la cultura aziendale o come relazionarsi ai capi, per fare qualche esempio.

Ma le aziende che hanno abbracciato il passaggio dall'avere dipendenti ad avere dei taskers hanno raccolto grandi guadagni. Non hanno più bisogno di pagare le persone per stare in ufficio quando la domanda è scarsa. Possono trovare il lavoratore con le abilità perfette per quel task e non solo qualcuno disposto a provare per cercare di guadagnare qualcosa. Poiché la produzione dei singoli lavoratori viene misurata con precisione, e la loro competenza nel completare un task diventa parte dei loro profili online, nessuno può essere pigro e farla franca. La crescita della produttività, che era rimasta stagnante nel mondo ricco dopo la crisi finanziaria del 2008-09, è aumentata dalla metà del 2020.

Molti lavoratori ne hanno anche beneficiato. Per quelli con le competenze più richieste, può essere molto più redditizio passare da un contratto all'altro piuttosto che lavorare per una singola azienda. Dopo un inizio accidentato, Mario Rossi ora guadagna più di quanto abbia mai guadagnato come dipendente. Controlla tre volte al giorno le piattaforme online di matching tra aziende e tasker, giocando contro concorrenti globali in competizione per il suo lavoro che in una modalità a sciame partecipano a questa asta globale. Accanto al lavoro da tasker per IIM, Mario Rossi fa consulenza per altre società di investimento, scrive articoli e offre lifestyle coaching.

Tuttavia, i lavoratori che non possiedono tali competenze preziose non se la stanno passando altrettanto bene. Il più grande problema deriva dalla riforma del lavoro del 2020. I “dependent contractor” che lavorano attraverso piattaforme online, a differenza dei dipendenti, non hanno diritto a un salario minimo. È difficile per i sindacati organizzare lavoratori altamente dispersi. L'automazione sta anche riducendo la domanda complessiva di manodopera a bassa specializzazione. Avere sempre a disposizione un pool di lavoratori rende l'economia del gruppo operativo efficiente, ma limita il potere contrattuale degli operai.

In termini reali, i salari alla base della distribuzione del reddito sono ormai stagnanti da due decenni. Tali lavoratori non possono permettersi di contribuire ai fondi pensione; anche la copertura dell'assistenza sanitaria è diminuita. La preoccupazione per il potenziale impatto a lungo termine sulle finanze pubbliche ha indotto a chiedere una maggiore regolamentazione della gig economy.

In America, i democratici vogliono annullare la riforma del 2020 e estendere la legislazione sul salario minimo a più persone. Ma la gig economy ha una sua potente logica. Nel 1937, Coase si chiese: "perché devono esistere le imprese"? Quasi un secolo dopo, poiché la tecnologia rende sempre più facile smontare le imprese, sempre più manager fanno la stessa domanda.

Tornando alla realtà... La gig economy è una delle nuove forme di organizzazione dell’economia digitale. In italiano si traduce come economia dei lavoretti. Corrisponderebbe a mestieri che una persona svolge a tempo perso, quasi come un secondo lavoro. Il modello, però, spinge verso un lavoro sempre più parcellizzato, affidato a freelance ma gestito dalle piattaforme con formule di organizzazione che molto spesso sono tal quali quelle del lavoro alle dipendenze.

Molti giovani vedono nella gig-economy la possibilità di poter guadagnare qualcosa a fronte di un mercato del lavoro tradizionale che sembra inaccessibile. Le domande però sono tante.

Questo guadagno nel breve termine, sarà un vantaggio per queste giovani generazioni?

La disintermediazione del lavoro, passando dalle parti sociali agli accounts delle platforms saprà garantire i lavoratori in tutta la durata della loro carriera?

Se un giovane lavoratore può essere molto competitivo in forza della sua flessibilità e capacità di adattamento, con il passare del tempo saprà reggere la competizione e avere il potere contrattuale per continuare a lavorare?

Passando ai salari. Se il lavoro diventa tasks probabilmente assisteremo a salari sempre maggiori per i c-suite e salari sempre minori per i singoli task creando ulteriori forme di profonda ingiustizia e forse la definitiva scomparsa della classe media. Avremo un elite super-pagata e una grandissima base di tasker a salari minimi. Quali ripercussioni sociali?

Infine se riduciamo il lavoro a tasks che cambio sociale stiamo producendo? In passato ci si descriveva identitariamente in base alla domanda "che lavoro fai?". Se prevarrà il modello della gig-economy avrà ancora senso questa domanda? Come sostituire socialmente questo importantissimo elemento che produce e rafforza l'identità delle persone?

Siamo sicuri di desiderare questo futuro per le nuove generazioni? Come gestire tutto questo?

Servono spazi reali di confronto e gestione dell'innovazione.

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