I ricercatori dei Sandia National Laboratories guidati da Frances Chance stanno studiando la libellula comune alla ricerca di indizi per sviluppare difese missilistiche più piccole ed efficienti. Mirando a replicare il cervello dell'insetto predatore in un algoritmo informatico, vogliono creare missili intercettori in grado di aggredire eventuali minacce molto più velocemente e di colpire molti più bersagli. La questione mostra interessanti risvolti che meritano di essere analizzati.
Le libellule esistono da circa 325 milioni di anni e da allora non sono cambiate molto, quindi devono essere particolarmente adatte alla sopravvivenza. Parte del motivo è che, sebbene siano tipicamente associate nella letteratura e nella cultura a stati d'animo bucolici nel vederle ronzare nelle calde serate estive, sono uno dei predatori più efficienti in natura. Gli studiosi hanno stimato la loro efficacia: le libellule hanno un tasso di uccisioni del 95% dopo aver preso di mira la loro preda.
La libellula riesce ad essere un killer così efficiente grazie al suo cervello, che a prima vista sembra essere una cosa molto semplice, persino primitiva, ma, secondo i ricercatori, è in grado di eseguire calcoli notevolmente veloci e complicati. Quando insegue la sua preda in volo, la libellula non si limita semplicemente ad andarle appresso seguendola nella sua traiettoria. Lo studio del comportamento predatorio di questi insetti ci mostra che la libellula anticipa dove sarà la sua preda e calcola quello che in un linguaggio tattico aeronautico potremmo definire come una rotta di intercettazione diretta che corregge mentre il suo bersaglio sobbalza e intreccia il suo volo.
I fatti
Lo studio della libellula non smette di stupire se si pensa che siamo in grado di sapere con certezza che il suo sistema nervoso non è in grado di offrirle una percezione della profondità. I ricercatori si sono chiesti come possa questo insetto essere così letale e preciso nella caccia. Per rispondere a questa domanda i Sandia National Laboratories hanno fatto quella che si chiama reverse engineering, cioè quel processo mediante il quale si guarda a una realtà come se fosse un oggetto creato dall'uomo decostruendola in sottoprocessi produttivi per ottenere alla fine, capovolgendo il processo -reverse- un accurato progetto di costruzione della stessa realtà, svelandone l'architettura o estraendo una qualche forma di conoscenza dall'oggetto studiato. Il processo di reverse engineering della libellula era volto a creare libellule sintetiche, cioè dei software, simulate in un ambiente digitale, che funzionavano mediante quello che i ricercatori hanno definito come un duplicato in una rete neurale del cervello degli insetti. La ricerca è stata presentata da Chance alla Conferenza internazionale sui sistemi neuromorfici che si è tenuta a fine luglio a Knoxville, nel Tennessee, eccone alcuni dettagli.
Secondo i Sandia Labs, i cloni digitali in AI imitano il cervello della libellula con una grande precisione. Questo risultato da un punto di vista tecnologico è di grande interesse perché la libellula è in grado di reagire ai movimenti della sua preda in soli 50 millisecondi, cioè, per avere un tempo di comparazione, sei volte più velocemente del battito di ciglia di un occhio umano. Da un punto di vista biomeccanico questo è il tempo con cui il segnale nervoso passa attraverso solo tre neuroni. Nel modello computazionale dei Sandia Labs, che vede il sistema nervoso centrale della libellula come un mero computer biologico, ogni operazione motoria della libellula è il frutto di un "calcolo", cioè di un processo biochimico neuronale assimilabile, in un modello neuroscientifico riduzionista, a una computazione biologica, che avviene in soli tre passaggi neuronali. L'efficacia della libellula è nella capacità del suo "computer biologico" di eseguire una sorta di elaborazione parallela: quindi molti calcoli possono essere eseguiti in molto poco tempo da una ampia serie di circuiti neurali molto semplici.
La neuroscienziata computazionale Frances Chance dei Sandia Labs
Al contrario, i sistemi convenzionali di difesa antimissile, per un compito che ingegneristicamente è molto simile, intercettare un oggetto volante, utilizzano molta più potenza di calcolo. Secondo i Sandia Labs, usando il cervello di libellula come modello, potrebbe essere possibile realizzare computer più piccoli e leggeri che richiedono meno energia per funzionare, oltre ad aumentare tremendamente l'efficacia intercettiva dei missili. Inoltre questo nuovo "algoritmo libellula" potrebbe rendere la difesa in grado di intercettare i missili ipersonici, i vettori di ultima generazione che caratterizzano la nuova corsa agli armamenti tra Usa, Russia e Cina e che minacciano gli equilibri mondiali. I missili ipersonici infatti sono meno prevedibili nei loro movimenti. Inoltre questo nuovo approccio potrebbe mostrare come calcolare le traiettorie di intercettazioni usando sensori a bordo molto meno sofisticati.
I ricercatori nel loro paper ammettono che ci sono differenze fondamentali tra libellule e missili: la velocità è la più ovvia. Tuttavia, anche se la difesa antimissile si rivelasse un fallimento, la nuova tecnologia potrebbe essere di grande utilità nell'intelligenza artificiale e nelle applicazioni come le automobili a guida autonoma, o lo sviluppo e il test di farmaci soggetti a prescrizione medica.
Il vivente come una macchina e la macchina come un vivente?
L'approccio che ha permesso ai neuroscienziati di pensare il sistema nervoso di una libellula come un sistema computazionale volto al raggiungimento di un obiettivo mostra un particolare modo di guardare ai viventi - e in particolare all'uomo - da parte di alcuni nostri contemporanei.
In particolare le neuroscienze cognitive sono un'area di studio interdisciplinare che è emersa dalla neuroscienza e dalla psicologia. Ci sono state diverse fasi in queste discipline che hanno cambiato il modo in cui i ricercatori si sono avvicinati alle loro indagini e che hanno portato al consolidamento del campo. Il compito originale della neuroscienza cognitiva era cercare di descrivere come il cervello crea la mente.
Oggi nelle neuroscienze cognitive ci si è astratti da questa visione e si è prodotto di fatto un approccio più generico che studia come una certa area del cervello supporti una determinata facoltà mentale.
Tuttavia, i primi sforzi per suddividere il cervello umano si sono rivelati problematici. Tuttavia questo non ha impedito che per viventi con sistemi nervosi meno complessi, come le libellule, alcuni di questi approcci si siano rivelati molto efficaci. In particolare con lo sviluppo delle neuroscienze computazionali. Le neuroscienze computazionali (anche note come neuroscienze teoriche o neuroscienze matematiche) sono la branca delle neuroscienze che utilizza modelli matematici ed astrazioni del cervello per comprendere i principi che governano lo sviluppo, la struttura, la fisiologia e le funzioni cognitive del sistema nervoso.
Il Golem una figura antropomorfa immaginaria della mitologia ebraica e del folclore medievale
Proprio questo approccio è quello che permette alla neuroscienziata computazionale Frances Chance, autrice della ricerca, di definire così i suoi studi: "Cerco di prevedere come i neuroni sono collegati al cervello e di capire quali tipi di calcoli stanno facendo quei neuroni, in base a ciò che sappiamo del comportamento dell'animale o di ciò che sappiamo delle risposte neurali".
Allora il vivente viene "astratto" come un sistema complesso, si pensi al sistema operativo del nostro computer, che è composto da una serie di funzioni e sub-routine specifiche per dei compiti specifici. Al sistema nervoso del vivente viene attribuito un solo scopo: darwinisticamente è quello che serve a sopravvivere. Per ottenere questo le DLL, le librerie dinamiche che danno funzioni specifiche, sono non pezzi di codici ma facoltà in specifici circuiti neuronali che forniscono insieme hardware e software.
Quello a cui assistiamo è una riduzione del vivente a schemi di funzionamento che non si chiedono minimamente chi sia il vivente o perché faccia delle cose ma solo cosa accade e cosa si "accende" nel suo sistema nervoso in questi processi.
Qui troviamo un primo punto che necessita di un'accurata riflessione filosofica. La tecnica e l'ingegneria possono approcciarsi alle libellule, per rimanere nel nostro caso di studio, senza minimamente chiedersi che cosa sia questo insetto o che senso abbia quella determinata capacità. Alla tecnica basta capire un "come si fa" per renderlo replicabile e applicabile a funzioni analoghe.
Tuttavia la capacità di portare a termine con successo un compito per quanto possa essere una imitazione di un'azione intelligente non ha assolutamente la stessa qualità e natura. Infatti manca in questo caso tanto un soggetto, un "io" che si dica e si chieda cosa voglia fare e perché, quanto anche il senso e il fine di tale azione. Mai noi umani, essere intelligenti, svolgiamo azioni senza che queste ci interroghino sul fine di quello che facciamo. Mai compiamo un movimento volontario solo per il movimento in sé. Anche il più automatico e istintuale gesto atletico del migliore calciatore è inserito in un discorso più ampio, come per esempio vincere una partita.
Allora se l'ingegneria si può non interrogare su certe domande quando i suoi mezzi vogliono classificarsi come risposte generali e globali a temi come l'intelligenza e l'agire volto a un fine, l'ingegneria, le neuroscienze computazionali e i saperi senza domande sul fondamento e sul fine non bastano più. A questo livello c'è bisogno di domande che prendano sul serio il "che cos'è?" (la domanda che Socrate continuamente faceva) e sul perché. Insomma c'è bisogno di filosofia e della teologia che a questa si accompagna.
Se lo stupore della meraviglia tecnica ci colpisce, è l'inquietudine della ragione che ci deve muovere. Non bastano più i "come" per distinguere una romantica libellula in un prato da un micidiale missile intercettore. Abbiamo bisogno di "perché". Abbiamo bisogno di tornare a pensare la realtà e i viventi per realizzare tecnologia che sia a servizio dell'autentico sviluppo umano.